ABERCROMBIE, John
Ogni volta che ascolto i miei assoli sento qualcosa che mi piace e qualcosa che non sopporto. Devi imparare a convivere con quello che suoni, se hai a che fare con il Jazz, perchè il jazz è qualcosa di molto imperfetto
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Il fulminante e giustamente celebre epigramma coniato da Alberto Arbasino, secondo il quale la carriera degli scrittori in Italia attraversa tre fasi, prima “grande promessa”, poi “solito stronzo” e infine “venerato maestro”, dietro l’apparenza della battuta di spirito cela un vero e proprio paradigma critico, con profonde radici di verità e molteplici applicazioni pratiche. Ad esempio, calza assai per descrivere la parabola artistica di John Abercrombie, chitarrista jazz dal precoce talento che negli anni della maturità, pur continuando a suonare nel giro che conta del jazz internazionale, ha manifestato una certa stasi creativa per riscuotere infine, in più avanzata età, unanime riconoscimento.
Ma se non ci si vuole fermare alla abrasiva superficie l’aforisma arbasiniano fornisce una chiave di lettura più profonda dei soggetti cui si adatta. Il sarcasmo di Arbasino era diretto contro il pigro conformismo della critica e, di riflesso, contro la passiva accettazione di opinioni standardizzate da parte del pubblico; ma è anche vero che tale luogo comune trova più frequente applicazione nei confronti di artisti i quali, pur raggiungendo livelli significativi di notorietà e di appartenenza alle elites del proprio mondo, non riescono a imporsi come assoluti fuoriclasse.
Temo che questo sia il caso di John Abercrombie: eccellente strumentista, con una grande passione per la musica jazz e una notevole spinta alla esplorazione di nuove tecniche espressive, ha suonato con un’impressionante schiera di celebrati jazzisti con i quali ha messo insieme una sterminata produzione discografica, generalmente di buon livello.
Oggi, alla soglia dei settanta anni, gli vengono tributati gli onori dovuti a chi ha militato in formazioni di primo piano, accanto a grandi protagonisti della scena musicale. Ma non è un genio. La sua creatività e la stessa espressione musicale sono sempre state inficiate da una certa meccanicità, dalla sensazione che più che sgorgare da una naturale ispirazione la sua musica fosse il frutto di un paziente lavoro di costruzione a tavolino. Lavoro che, beninteso, è fondamentale anche per chi è toccato dal genio, ma senza il genio risulta un po’ privo di significato profondo.
Ciò non toglie che si possa amare la musica di Abercrombie: non mancano i brani belli e talvolta bellissimi nei suoi dischi, e la qualità dei suoi compagni di viaggio spesso consente inattesi colpi d’ala. Lo si ama come si può amare un amico di lunga data, forse non il più brillante e affascinante, ma rassicurante, familiare ed accogliente. Gli amici così spesso sono quelli con i quali passiamo più volentieri il nostro tempo…