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ABERCROMBIE, John: Getting There (1987)

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Titolo:  GETTING THERE

 

Artista: ABERCROMBIE, John

 

Etichetta:  CBS

 

Anno:  1987

 

Genere: SOUL

 

Provenienza:  

Port Chester (New York - USA)

​

Tra le diverse formazioni sperimentate da John Abercrombie nel corso della sua lunga carriera, una delle più efficaci è stata quella, classicamente triangolare, con la quale ha suonato e inciso nella seconda metà degli anni ottanta; suoi compagni di strada il bassista Marc Johnson e il batterista Peter Erskine. In quel periodo il linguaggio del chitarrista jazz si era fatto più sperimentale, anche perchè Abercrombie aveva molto approfondito l’uso del synth e, da ultimo, era passato alla chitarra sintetizzata. “Ho speso molto del mio tempo imparando a programmare i primi synth. Io avevo un Roland, e passavo ore a programmare e combinare suoni differenti, cercando di creare i miei piccoli suoni, che poi avrei usato per scrivere canzoni. Poi cominciai a sperimentare con i sintetizzatori da chitarra e iniziai ad aggiungere moduli al mio strumento. Alla fine, quando incidemmo Getting There, in studio avevo tastiere appese alla mia chitarra, avevo la chitarra synth della Roland, avevo tanta di quella roba! L’album dal vivo Abercrombie, Erskine and Johnson fu probabilmente l’ultima occasione nella quale usai la chitarra synth. Un giorno decisi che ero stanco di quelle sonorità, ero stanco dei problemi con l’elettronica – non c’era nulla che funzionasse veramente bene. Non sono mai tornato ad usarli, ma devo dire che mi ci sono divertito.” (Within A Song, intervista di Gideon Egger e Ying Zhu) Getting There fu il secondo dei tre album pubblicati in quel periodo dal trio ed uscì nel 1987, prima del Live e dopo Current Events, rispetto al quale la formazione era arricchita dalla presenza fissa del sax di Michael Brecker; a parte questo, la continuità con Current Events era evidente, come attestato da David Nerattini su Ciao 2001: “Current Events in parte precedeva le tematiche di questo Getting There, ovvero un jazz moderno ed elettro-acustico. Infatti, ad una sezione ritmica completamente acustica di estrazione hard-bop e priva del sostegno armonico del pianoforte, è contrapposta una chitarra elettrica spesso sintetizzata. La presenza di Michael Brecker come solista ospite fa la differenza fra il precedente disco e questo: il suo ispiratissimo sax fa decollare anche i momenti di relativa noia che, molto raramente, il disco potrebbe presentare ai neofiti dello sperimentalismo jazz.” (Recensione di Getting There di David Nerattini su Ciao 2001 no. 17 del 27 aprile 1988) E secondo Maurizio Favot dal disco “vien fuori qualcosa che sorprendere non può, ma piacere (e molto) senz’altro sì. Sin dalle prime note (Sidekicks) la sensazione è quella di un gradevole, familiare tepore, giacchè sembra di essere entrati in casa Steps Ahead. Poi c’è Upon A Time e il trio (senza Brecker) sfoggia tutte le sue abilità ricamatorie, ma anche qui siamo sul risaputo. Per fortuna arriva, al momento giusto, la ben più nerboruta title-track, a recar con sè un’aria di qualche novità. Di lì in poi si continua sullo stesso piano, con un bell’alternarsi di note bontà e qualche brivido nuovo. Gran bella cosa.” (Twilight Zone di Maurizio Favot su Mucchio Selvaggio no. 123 dell’aprile 1988) All’ascolto Getting There emana un certo fascino, ben rappresentato dalla bella, crepuscolare copertina; intendiamoci, è sempre come ritrovare un vecchio amico che si conosce assai bene, ma in questo caso, proseguendo con la metafora, è come se l’amico fosse dimagrito e abbronzato, in ottima forma. Molti i brani che si distinguono, dalla iniziale Sidekicks, nella quale si alternano gli assoli della chitarra sintetizzata di Abercrombie e del sax di Brecker, con la frase iniziale a ritornare come cifra distintiva del brano; stesso schema che si ritrova in Furs On Ice: frase melodica iniziale, in questo caso affidata al sax di Brecker, che ritorna di tanto in tanto e, in mezzo, soli degli altri protagonisti, ma un ritmo incessante e qualche cambio di marcia tengono alta la tensione. A mio modo di vedere le cose più belle sono quelle più rarefatte, spesso pervase di mistero, come la magnifica Getting There e la enigmatica Chance, ma anche la quieta Upon A Time, nella quale la leadership viene condivisa da Abercrombie con il basso di Johnson. Meno brillanti Remember Hymn, di fatto un assolo di Brecker, e Thalia, dove invece si erge a protagonista la chitarra sintetizzata di Abercrombie.

 

Voto: 7

 

Roberto Cappelli  

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