ABC: Alphabet City (1987)
Titolo: ALPHABET CITY
Artista: ABC
Etichetta: Mercury
Anno: 1987
Genere: POP / DANCE
Provenienza:
Sheffield (UK)
Band:
Martin FRY (voce)
Mark WHITE (chitarra e tastiere)
David CLAYTON (tastiere)
Howie CASEY (sax)
Brad LANG (basso)
Graham BROAD (batteria)
Quarto album degli ABC, Alphabet City deve fare i conti con l’ingombrante eredità del disco d’esordio del gruppo di Sheffield, quel The Lexicon Of Love che nel 1982 aveva segnato la nascita del suono dance dei primi anni ottanta, un lussuoso pop-soul bianco, freddo ed elegante. Destino comune a tutti i lavori precedenti (incluso l’eretico Beauty Stab, che in fondo era sempre una reazione nei confronti dell’obbligo di ripetersi) e successivi degli ABC; o forse sarebbe più giusto dire, di Martin Fry, padre-padrone del gruppo, che riafferma la propria primazia, debolmente appoggiata dal tastierista Mark White, giubilando i due caratteristi, Eden e David Yarritu, che erano entrati a far parte della formazione, per la verità con compiti non ben definiti, in occasione del precedente How To Be A Zillionaire; accanto a Fry e White suonano dei session-men (David Clayton alle tastiere e Graham Broad alla batteria).
Il titolo “è riferito ad un mondo ideale, rappresenta una specie di Shangri-la dove tutto scorre nel senso giusto, in cui gioia e ottimismo sono la regola. Come svegliarsi al mattino, aprire la finestra e respirare aria pura.” (Ciao 2001 no. 13 del 30 Marzo 1988)
Martin Fry lo definì, all’uscita, un “paradiso ritmico” (Ciao 2001 no. 43 del 21 Ottobre 1987) e “il nostro lavoro più sudato e voluto” (Ciao 2001 no. 13 del 30 Marzo 1988). Paragonandolo ai dischi precedenti aggiunse: “Alphabet City ha un sapore più cosmopolita, destinato ad un audience ben maggiore. Riprende certe atmosfere di Lexicon Of Love, distanziandosi nettamente dai tratti vagamente heavy di Beauty Stab e dai toni famigliari e compiacenti di How To Be A Zillionaire. Qui il range musicale è più ampio e il target diversificato.” (Ciao 2001 no. 13 del 30 Marzo 1988)
Ma la credibilità degli ABC per la critica musicale italiana era in caduta libera, dopo lo scadente album precedente (la cui dance elettronica smaccatamente pop era fatta per piacere al pubblico americano, dove l’album se la cavò non male, e correlativamente per spiacere al pubblico europeo), come dimostra la recensione di Stefano Mannucci per Rockstar: “Alphabet City ha un buon titolo: Amos Poe ci girò molti metri di pellicola per raccontarci di una zona di New York dove la glamorous life non transita neppure per sbaglio; non manca qualche brano stuzzichevole, ma non è possibile citare i mostri sacri del soul (come in When Smokey Sings), rubando i contrappunti agli Chic (The Night You Murdered Love), scimmiottando Bryan Ferry (Ark Angel) e tentare al tempo stesso languide carezze Spandau Ballet (Bad Blood). Troppi furtarelli per riabilitarsi dopo un passato non proprio trasparente.” (Rockstar no. 87 del Dicembre 1987)
Giudizi viziati da pregiudizio, a mio modo di vedere; contrariamente a quanto affermato da Mannucci, il disco mostra una certa unità e coerenza stilistica. Gli ABC, forse sfiniti dalle insistenze dei discografici, voltarono le spalle alle sonorità elettro-dance che avevano conquistato l’America e realizzarono un lavoro che si riallacciava solidamente alla eredità di The Lexicon Of Love. Clima elegante e soffuso, con meno lustrini rispetto al primo album, testimonianza del raggiungimento dell’età della maturità. Molti i brani che si ascoltano con piacere: When Smokey Sings è in puro stile Lexicon e, giocherà anche con l’ingenuità dell’ascoltatore, ma funziona! Semmai l’elemento di dubbio può essere proprio la sensazione di già sentito, che si estende alla non meno piacevole The Night You Murdered Love, che sfoggia le stesse atmosfere vellutate, con una ritmica non invadente e contrappunti di archi. In Rage And Regret, più ritmata e allegra, compaiono anche i cori in falsetto, mentre King Without a Crown è un piacevole brano pop dance.
In fondo, qualitativamente Alphabet City è un buon disco, uno dei migliori della discografia degli ABC ascoltato oggi, ma la formula che era risultata irresistibile nel 1982 era irrimediabilmente anacronistica cinque anni dopo. La musica degli anni ottanta, bene o male (più male che bene), era andata avanti e gli ABC, ritornando alla casella di partenza o quasi, si condannavano alla marginalizzazione.
Voto: 6,75
Roberto Cappelli