A CERTAIN RATIO: To Each... (1981)
Titolo: TO EACH...
Artista: A CERTAIN RATIO
Etichetta: FACTORY
Anno: 1981
Genere:
NEW WAVE - POST-PUNK
Provenienza: MANCHESTER (UK)
Formazione:
Simon TOPPING (voce)
Peter TERREL (chitarra)
Martin MOSCROP (chitarra)
Jeremy KERR (basso)
Donald JOHNSON (batteria)
E’ il primo vero disco del gruppo di Manchester (l’anno prima avevano pubblicato un lavoro uscito solamente sotto forma di cassetta intitolato “The Graveyard And The Ballroom”). Siamo in piena era post-punk, primi vagiti del movimento new wave, e gli ACR sono tenuti a battesimo da un’etichetta della loro città che scriverà la storia di questo genere musicale, la Factory, cui si deve, tra gli altri, la scoperta dei Joy Division. Tra l’altro il disco viene prodotto da Martin Hannett (produttore anche dei Joy Division) e registrato a East Orange (New Jersey).
Gli ACR non erano musicisti di grandissimo talento, forse con la sola eccezione del batterista di colore, Donald Johnson; anzi, a dirla tutta, secondo molti dei loro più accesi critici (i loro atteggiamenti scostanti gliene procurarono un gran numero), agli esordi non sapevano proprio suonare… Però avevano un’idea non banale in testa: provare ad innestare sulla musica elettronica post-punk qualche ibridazione funky o dance. E’ bene sottolineare che a quell’epoca non si parlava ancora di cross-over e l’accostamento sapeva di rivoluzionario.
In questo primo album la commistione di generi, già annunciata nella tromba retta da una mano di colore che domina la copertina, viene effettuata secondo una ricetta che prevede tre parti di elettronica ed una di musica nera (nei dischi successivi, progressivamente, questa proporzione si invertirà) e quello che ne esce è un disco cupo, dominato da un tappeto di percussioni ossessive e monotone attraversate da fiati, voci (usate come uno strumento, con il tipico canto freddo e inespressivo che tanto piaceva in quegli anni) e interventi elettronici. Bisogna dire che se è vero che erano tecnicamente limitati, erano però anche consapevoli dei propri limiti, e sia i rarefatti temi musicali che i giri ritmici sono non casualmente piuttosto elementari.
Tuttavia, disco impegnativo, che trova nelle suggestioni create dalla ipnotica e goticheggiante base ritmica qualche fascinazione, ma che nulla concede all’ascoltatore, anzi esercitandosi quasi con protervia a lisciarlo contropelo.
Poco differenziati i brani, che appaiono come tante variazioni di uno stesso tema; in questo senso è paradigmatica “Forced Laugh” (con i fiati che sembrano emettere il sinistro grido dei corvi neri nel film di Hitchcock), e finisce per essere impressionisticamente attraente la lunga “Winter Hill” che chiude il disco, ottimo esempio della tensione che correva tra la dance dal sapore tribale e l’elettronica cerebrale del gruppo.
Se detestate l’arte moderna e vi beate di quei rilassanti paesaggi fiamminghi, non fa per voi. Non troverete giri armonici compiuti, né melodia; però, senza essere un capolavoro, è un’interessante espressione del proprio tempo.
​
​
​
Voto: 6
​
​
​
ROBERTO CAPPELLI