ABC: Beauty Stab (1983)
Titolo: BEAUTY STAB
Artista: ABC
Etichetta: Mercury
Anno: 1983
Genere: POP / GLAM
Provenienza:
Sheffield (UK)
Band:
Martin FRY (voce)
Mark WHITE (chitarra e tastiere)
Alan SPENNER (basso)
Andy NEWMARK (batteria)
Howie CASEY (sax)
Nel 1983 gli ABC erano decisamente sulla cresta dell’onda: il loro disco d’esordio, uscito l’anno prima, aveva suscitato enorme interesse, di fatto ponendosi come portabandiera del genere che avrebbe dominato la prima metà degli anni ottanta, un pop dance ispirato alla musica soul, di grande eleganza formale. E ovviamente erano alle prese con il più grande dei problemi che il successo porta con sè: ripetersi.
Il successore di The Lexicon Of Love venne annunciato dal singolo That Was Then And This Is Now, e sin dal titolo (ma anche come stile musicale) lasciava intuire che gli ABC non avevano voluto limitarsi a proporre una replica del fortunato disco d’esordio, ma avevano deciso di battere altre strade. In effetti già l’apertura del pezzo è in purissimo stile Roxy Music, poi nel seguito della canzone le reminiscenze di Lexicon si mescolano con gli accenti glam, fino all’interessante finale con chitarra elettrica distorta. Insomma, uno shock per i seguaci dei primi ABC, e ad aumentare lo sconcerto il video della canzone venne bandito dalla popolare trasmissione della BBC Top of the Pops perchè considerato troppo… politico!
“Ci siamo trovati di fronte all’impossibilità di continuare a scrivere di night clubs, cuori spezzati e spiagge assolate; quello è il tipo di canzone che potrei continuare a scrivere a occhi chiusi, ma ripetere la struttura delle canzoni contenute in The Lexicon Of Love sarebbe stato disonesto da parte nostra; in questo anno abbiamo viaggiato molto, abbiamo veduto molte cose che hanno allargato le nostre vedute; abbiamo visto la realtà e abbiamo deciso di non voltarci dall’altra parte.” (Martin Fry, Tuttifrutti no. 15 del gennaio 1984). “E poi non volevamo passare il resto della nostra vita in lamè.” (Stephen Singleton, ibid.).
Il disco fu prodotto da Gary Langan, che prese il posto di Trevor Horne, ma gli ABC sembrarono sminuirne il ruolo: “Trevor ci è stato di molto aiuto nel nostro primo album perchè era la prima volta che avevamo a che fare seriamente con una sala di incisione e sono il primo ad ammettere che il suo gusto musicale si rispecchia in molte cose del primo album, ma ora siamo diversi, più esperti, i suoni che vogliamo produrre sono più crudi, abrasivi, incisivi.” (Mark White, Tuttifrutti no. 15 del gennaio 1984).
Nel long playing, intitolato Beauty Stab ed uscito alla fine del 1983, ai tre componenti base del gruppo si affiancarono Andy Newmark alla batteria e Alan Spenner al basso che, all’epoca, militavano nei Roxy Music: non una scelta casuale, perchè la virata del sound degli ABC è spettacolare, percepibile sin dalla veste grafica, dove al lusso patinato della scena da film anni trenta si sostituisce un dipinto raffigurante l’elegante volteggio di un torero. Abbandonata la scintillante dance del disco d’esordio, che nel frattempo era diventata fenomeno di massa grazie a gruppi come i Duran Duran e gli Spandau Ballet, Fry e compagni si trasferirono armi e bagagli sotto le insegne del dandy rock di cui Bryan Ferry, leader carismatico dei Roxy Music, è l’indiscusso vate. Come scrive nella propria enciclopedia Rolling Stone: “Per Beauty Stab (gli ABC) presero due sorprendenti decisioni: di diventare del tutto seri e di usare chitarre pesanti, perchè, come la gente tendeva a credere nel 1983, le chitarre significavano sincerità.” (The New Rolling Stone Album Guide, Fireside, New York, 2004).
Ovvio che tutti i recensori del disco si concentrassero su questo inaspettato cambio di direzione. La recensione di Davide Tenigli su Tuttifrutti è indecisa: “Non aspettatevi un bis di quel capolavoro di poesia e stile che è stato The Lexicon Of Love, primo splendido disco di questi ABC. (…) E’ un disco che indubbiamente presenta dei vuoti (…) ma non può dirsi affatto brutto. I testi sono interessanti ed anche le musiche ci piacciono, nonostante, forse, la poca amalgama raggiunta con il nuovo batterista ed alcuni vistosi cali di ritmo che fanno un po’ perdere il filo. Ma il disco è bello.” (Tuttifrutti no. 15 del gennaio 1984)
Del resto, che la discontinuità con l’esordio non fosse casuale venne confermato anche dallo stesso Fry: “Volevamo un album di suoni completamente diversi, abrasivo, basilare, diretto; non più canzoni d’amore, ma canzoni sull’Inghilterra nel 1983, il periodo della Grande Disillusione; ci eravamo accorti di molte cose nel frattempo, non potevamo chiudere gli occhi e continuare a scrivere canzoni d’amore” (Ciao 2001 no. 46 del 15 novembre 1985).
Anche Duncan Strauss su Record è perplesso e confeziona una recensione dolceamara: “Con Beauty Stab il gruppo inglese conserva qualcosa dei tratti seducenti ed eleganti che contraddistinguevano il loro esordio, ma introduce anche elementi inaspettati in quantità sufficiente ad evitare di fare semplicemente Lexicon II. Sebbene tale approccio sia ammirevole, Beauty Stab offre risultati contraddittori: l’equivalente sonoro di vestirsi in pompa magna per poi andare in chiesa e ruttare.” Strauss nota come in un paio di brani (The Power Of Persuasion e Hey Citizen) si trovino tracce persino di heavy metal e aggiunge: “A favore degli ABC va detto che questi passi falsi stilistici non rovinano completamente Beauty Stab (…) essendo compensati dalle osservazioni intriganti, dalla agilità verbale e dall’asciutta arguzia che continua ad animare i testi di Martin Fry. Tuttavia, con le proprie svolte pericolose gli ABC sollevano più domande di quante risposte diano riguardo alla direzione musicale intrapresa dal gruppo.” (Record vol. 3, no. 5 del marzo 1984)
Il riferimento a influenze heavy metal, ricorrente per quanto improbabile, fu commentato in un’intervista da Martin Fry: “Non siamo un gruppo heavy metal, non credo che abbiamo dentro questo spirito. Non sono un santo, ma non ho buttato abbastanza televisori fuori dalla finestra di abbastanza camere d’albergo. Ma sì, l’enfasi ora è sulla chitarra. Magari per dire qualcosa che un gruppo di heavy metal non si sognerebbe di dire. L’heavy metal ha i suoi pregi e i suoi difetti. Molti lo trovano un po’ monotono, ma il sound fisico di una chitarra suonata al massimo volume credo parli per sè stesso” (Musician no. 65 del marzo 1984)
Ebbe pochi dubbi, invece, Enzo Gentile nel raccontare Beauty Stab ai lettori di Rockstar: “Attesi al varco naturalmente con curiosità moltiplicata alla seconda prova, gli ABC arrivano con il fiato corto, palesando sbandamenti e vuoti musicali abbastanza preoccupanti. Beauty Stab, infatti, non solo non riesce a proseguire il discorso avviato splendidamente con The Lexicon Of Love, ma addirittura se ne allontana, abbracciando un rockettino abbastanza innocuo e privo di fascino, estraneo a quei giochi di seduzione e ammiccamenti che invece facevano da protagonisti nello stupefacente lavoro d’esordio. (…) L’ascolto di Beauty Stab a tratti infastidisce, altrove solletica, ma mai appassiona. Il vero grande merito resta invece nella purezza dei suoni, nella trasparenza della voce e degli strumenti.” (Rockstar no. 40 del gennaio 1984)
Positivo il commento di Adinolfi (che del resto era un entusiasta ammiratore del gruppo) su Ciao 2001: “Cambiare per la band è drastica eliminazione di sbavature Stax e Motown barattate per rock’n’roll endemico desuetamente 70’s. L’estetica commerciale di Lexicon Of Love si sopprime da sola in un rock’n’roll che cresce secondo su secondo. Anche in Beauty Stab ci sono strati inevitabili di overdubs, tutto però sa di umano. Beauty Stab è una serie di osservazioni, dodici stadi ritmici in continuo farsi autonomo, solidi, immediati. Lexicon of Love era anche arrogante, imbarazzante, Beauty Stab è diverso, una scatola di cromatismi.” (Ciao 2001 no. 8 del 20 febbraio 1984)
La storia della somiglianza con i Roxy Music dal momento dell’uscita dell’album perseguitò gli ABC. Alla domanda: non è che gli ABC stanno solo vendendo un prodotto Roxy Music riconfezionato per i ragazzi che sono troppo giovani per aver fatto il primo giro con l’originale? Martin Fry rispose: “No, almeno su me personalmente i Roxy non esercitano una grossa, grossa influenza. Ma sono un gruppo che rispetto. Mi irrita un po’ quando la gente ci paragona, e immagino che sia ancora più irritante per qualcuno come Bryan Ferry leggere questi paragoni. No, mi piacevano i Clash. Loro per me erano ‘il’ gruppo. Ho comprato tutti i loro dischi e li ho visti in concerto per un numero di volte abbondantemente a due cifre. Anche i Kraftwerk avevano per me qualcosa di speciale, in un certo momento.” (Musician no. 65 del marzo 1984)
Mark White, dopo essersi lasciato sfuggire in un’intervista che tra i suoi chitarristi preferiti, accanto a Marc Bolan e Pete Shelley (Buzzcocks) c’è anche la (peraltro immensa) lead guitar dei Roxy Music, Phil Manzanera, alla inevitabile domanda tormentone successiva reagì vivacemente: “Che cosa significa ‘come i Roxy Music’? Quale disco? Ne hanno fatti una decina. Io non trovo nessun parallelo di nessun tipo, a parte il fatto che i Roxy hanno fatto dischi con un briciolo di stile. Faresti fatica a comprimere una qualsiasi delle canzoni di Beauty Stab in un disco dei Roxy. Forse una. Certo, sono uno dei miei gruppi preferiti…” (Musician no. 65 del marzo 1984). Meno suscettibile sull’argomento Stephen Singleton: “Abbiamo 22, 24 e 25 anni e dire che siamo rimasti incontaminati dai Roxy, David Bowie, T-Rex e compagnia sarebbe semplicemente una menzogna. Sono loro che mi hanno ispirato a cominciare a suonare il sax – ascoltavo Andy Mackay e Bowie… e David Sanborn. Forse sono troppo vicino alle cose per rendermene sempre conto, e non riesco a vedere i collegamenti, o meglio, vedo alcuni collegamenti, sappiamo da dove abbiamo preso alcune idee. Ma questo esisterà sempre nella musica. Non puoi essere totalmente originale, a meno di fare un album a base di trilli di suonerie (osservazione da pleistocene, epoca in cui non esistevano i telefoni cellulari… ndr), ed anche in quel caso la gente direbbe: si vede che ti piacciono Yoko Ono e Laurie Anderson” (Musician no. 65 del marzo 1984)
Devo confessare la mia personale debolezza per Beauty Stab, che considero non solo un inaudito atto di coraggio (gettare alle ortiche una formula di successo non è comune), ma anche il miglior disco degli ABC: in questo giudizio certamente ha un ruolo importante il mio amore per il glam rock (David Bowie e Roxy Music sono, a mio avviso, due monumenti del rock), che di gran lunga supera la affezione per la musica dance. Tuttavia, devo riconoscere che il mio giudizio è piuttosto isolato (e le citazioni delle recensioni dell’epoca ne danno abbondantemente conto).
Resta il fatto che le sonorità di Beauty Stab sono meno finte di quelle di The Lexicon, senza per questo perdere di vista la melodia, che Martin Fry maneggia con grande abilità: di That Was Then abbiamo già detto, ma anche If I Ever Thought You’d Be Lonely, ad esempio, si giova di un refrain in cui la tensione sospesa della base ritmica, accompagnata dalla tastiera elettronica, si risolve in un’armonia di ampio respito.
The Power Of Persuasion parte con delle inedite schitarrate alla Bryan Adams e, in genere, mantiene un passo da brano rock duro, al quale si adegua il cantato vigoroso, lontano dagli stilemi confidenziali tipici di Fry, e solo il suadente ritornello costituisce un pallido ricordo della provenienza dance del gruppo. “Power of Persuasion parla di come il mondo della pubblicità possa venderti qualsiasi cosa, da uno skateboard ad un primo ministro o un presidente e di come si venga spesso persuasi a comprare delle cose che non si vogliono veramente.” (Martin Fry, Musician no. 65 del marzo 1984)
Beauty Stab, brano strumentale, sia nell’uso del sax che della voce in veste strumentale, riporta alla mente David Bowie; il disco è meno convincente nelle parti in cui il suono si appesantisce (King Money, Bite The Hand) e anche le sonorità pop-dance non vengono completamente ripudiate, come in Unzip, specie nel riff, e nella successiva S.O.S., una ballata pop melodica con rassicuranti controcanti femminili e una bella apertura di sax alla fine.
E forse il mio parere non è condiviso neanche da Martin Fry, se è vero che anni dopo affermò: “Sinceramente, pare un nonsense la presenza di un simile lavoro nella nostra discografia.” (Ciao 2001 no. 13 del 30 Marzo 1988). Ma per Justin White, redattore della scheda dedicata agli ABC sulla Rock Rough Guide, “visto retrospettivamente è stata una delle mosse più audaci di carriera di quei tempi e anticipò una tendenza verso il pop politico che si affermò due o tre anni più tardi.” (Rock, the Rough Guide, Rough Guides, Londra, 1996).
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Voto: 7,5
Roberto Cappelli