Paula ABDUL: biografia e discografia
Paula Julie Abdul nasce il 19 Giugno 1962 a San Fernando, California, da genitori ebrei. Il padre Harry, ebreo sefardita, proveniva da Aleppo, in Siria, ed era arrivato negli USA dopo aver trascorso l’infanzia in Brasile; la madre, che lavorava negli studios di Hollywood come assistente di Billy Wilder, era cresciuta in Canada da famiglia ebrea ashkenazita. I due si separarono quando Paula aveva sette anni. La sua infanzia la trascorse in un complesso residenziale a North Hollywood chiamato The Condos (“Era un posto cool, una specie di comune o kibbutz” ha ricordato lei in un’intervista (3)) che ebbe un ruolo nel determinare, in tenera età, i suoi destini artistici, come lei stessa ebbe a raccontare: “Avevo sette anni e una volta chiesi alla madre di un’altra ragazzina della comunità se potevo assistere ad una lezione di danza prima di andare alla mia solita lezione di flauto. Così mi sedetti ad assistere ed accadde la cosa più assurda: mi innamorai della danza. Cominciai a prendere lezioni fino a quattro cinque volte la settimana: di danza classica, jazz, moderna, tip-tap, musical… tutto. Ero come impazzita. A otto anni già curavo le coreografie della recita scolastica natalizia.” (5) Ed in effetti la piccola (non solo anagraficamente) Paula mise in mostra un certo talento che le fruttò borse di studio, una parte in un musical indipendente (Junior High School) e il ruolo di cheerleader nella sua scuola, la Van Nuys High (che può vantare tra i propri ex-alunni alcune star hollywoodiane del calibro di Robert Redford e Marilyn Monroe); esperienza che avrebbe avuto una rilevanza decisiva per la sua carriera, visto che proprio grazie ad essa qualche anno dopo, mentre frequentava la California State University, riuscì a conquistare l’ambitissimo ruolo di cheerleader dei Los Angeles Lakers, squadra di pallacanestro ricca di titoli, divenendone poi addirittura capo-coreografa. Sbagliereste a pensare alle cheerleaders come a improvvisate ballerine da sagra paesana succintamente vestite e con l’unico merito di essere di aspetto gradevole; sono, al contrario, delle professioniste che passano lungo tempo ad allenarsi e che eseguono numeri anche decisamente complessi ed articolati. Non deve quindi sorprendere il fatto che proprio la vetrina dei Lakers fu quella che consentì a Paula di spiccare il grande salto nel mondo della musica che conta, entrando direttamente dal portone principale. Infatti, nel 1984 durante una partita venne notata dai Jacksons che le proposero di curare la coreografia del video del loro singolo Torture; nonostante l’inesperienza e la difficoltà nel confrontarsi da giovanissima con artisti del calibro dei fratelli di Michael Jackson, il video ottenne grande successo e Paula venne promossa a coreografa del “Victory Tour” dei Jacksons. Il passo successivo della sua carriera fu ancora nel segno della famiglia Jackson, chiamata da Janet per coreografare i suoi video: ne scaturì un anno di lavoro intenso per le clip dell’album Control (Control, Nasty, What Have You Done For Me) che contribuirono a consolidare definitivamente la sua fama nel settore, tanto che Paula declinò l’offerta di John Mc Clain, manager di Janet Jackson, di stipulare un accordo di esclusiva con la A&M, preferendo mantenere la libertà di lavorare con tutto il mercato. Questa decisione non giovò ai suoi rapporti con la vendicativa Janet , ma le consentì di allargare i suoi orizzonti, collaborando con moltissimi artisti provenienti da diverse aree della musica pop per video (ZZ Top, Duran Duran, Heart, Whitesnake, Dolly Parton, Debbie Gibson, Warren Zevon) o concerti (George Michael, Luther Vandross, Aretha Franklin), partecipando a diversi film (tra i quali Big, American Beauty, Jerry McGuire, The Doors, Running Man, Dragnet) e a molti spettacoli televisivi americani. Considerando il temperamento ambizioso della ragazza, l’approdo alla musica da protagonista, come cantante, era un fatto ineluttabile. E infatti, sia pur tardivamente, avvenne all’età di 25 anni, nel 1987 quando Paula registrò il primo demo. Del resto, in un’epoca nella quale il successo commerciale della musica era largamente condizionato dai video, la sua abilità coreografica costituiva un patrimonio importante sul quale costruire, e la instancabile capacità lavorativa della Abdul fece il resto. Dopo lunghi mesi di prove estenuanti, il primo disco di Paula Abdul, Forever Your Girl, uscì nel 1988, ed ebbe una storia quanto mai curiosa: il singolo sul quale la Virgin impostò la promozione fu Knocked Out. Una scelta sbagliata, probabilmente, fatto sta che l’album a lungo non suscitò alcun interesse. In un’intervista la Abdul ha ricordato divertita un concerto promozionale tenuto a Pearl Harbor, nelle Hawaii, davanti a non più di una decina di marines (3). Poi, quasi a sorpresa, le radio cominciarono a programmare Straight Up e la casa discografica fu lesta a cambiare strategia commerciale, spingendo su questo brano. E, per una di quelle imprevedibili svolte del destino le cui cause restano misteriose, il successo arrivò improvviso e travolgente: Forever Your Girl entrò nella Billboard 200, per rimanerci per quasi due anni e, cosa più unica che rara, arrivare al primo posto dopo oltre un anno dall’uscita: rimase no. 1 per dieci settimane nel 1989, spedì quattro singoli (Straight Up, Forever Your Girl, Cold Hearted e Opposites Attract) al primo posto in classifica ed un quinto al terzo posto, conquistò sette dischi di platino RIAA e, come se non bastasse, Paula si portò a casa anche un Grammy Award per il miglior video dell’anno (Opposites Attract), oltre alla nomination come migliore interprete femminile e, già che c’era, anche un Emmy Award per le coreografie del Tracey Ullman Show.  Detto del successo planetario, va anche detto che il disco non è che poi lo meritasse tanto… E’ un tipico prodotto dance anni ottanta, con il ritmo morto della batteria programmata elettronicamente, il basso in buona evidenza, la chitarra solista sullo sfondo e l’aura della famiglia Jackson, a partire dal più giovane e più autorevole Michael, per finire, ovviamente, con la ben conosciuta Janet, ad aleggiare su tutte le atmosfere. Paula canta diligentemente, ma le doti vocali non sono eccelse e la struttura musicale non è certo fatta per dare al cantante un ruolo centrale: secondo gli stilemi della disco anni settanta la voce, al contrario, viene affondata nel tappeto musicale per essere utilizzata come uno qualsiasi degli strumenti, con il risultato di apparire sostanzialmente fungibile. Da segnalare il contributo dato da alcuni amici di Paula: per esempio Oliver Leiber, figlio del mitologico Jerry Leiber (metà di Leiber-Stoller, ditta che ha composto un’incredibile quantità di hits negli anni cinquanta e sessanta), ha composto due dei brani migliori, Forever Your Girl e The Way That You Love Me; la buona Knocked Out è stata prodotta da Babyface; la scialba (ma di successo) Opposites Attract, anch’essa scritta da Leiber, è un duetto con The Wild Pair. Le prime intenzioni di Paula e del suo entourage alla Virgin erano di far uscire immediatamente un secondo album: scelta corretta sotto il profilo del business (che, come è evidente, nella carriera di Paula Abdul riveste un’importanza decisamente superiore all’impulso artistico) per sfruttare la “scia” di Forever Your Girl, ma motivata anche dal fatto che la Abdul aveva accettato di curare le coreografie di una versione cinematografica di Evita che Oliver Stone stava preparando, e che quindi prevedeva di essere a lungo impegnata in Spagna; poi, a causa del forfait di Meryl Streep, il film non si fece più e conseguentemente anche i tempi di preparazione del secondo disco si rilassarono. Del resto, non era mica facile dare un seguito ad un tale clamoroso successo, tanto che Spellbound, suo secondo lavoro, uscì solo nel 1991, ottenendo un eccellente riscontro anch’esso: sette milioni di copie vendute, due singoli al primo posto: Rush Rush, una ballata lenta, molto piacevole e Promise Of A New Day. Nella composizione dei brani ebbe una mano sostanziale da parte dei componenti dei Family Stand, ed una canzone (U) le fu regalata da Prince. Due canzoni erano state prodotte da Don Was: Alright Tonight, scritta da John Hiatt, e Good Night My Love. La critica italiana, che all’epoca dell’uscita di Forever Your Girl aveva ignorato il disco, non prevedendone il tardivo successo (difficile fargliene una colpa), ovviamente recensì Spellbound, evidenziando una curiosa divergenza di opinioni tra due riviste appartenenti alla stessa famiglia editoriale. Su Music il disco (e la stessa Abdul) vennero stroncati: “Forever Your Girl, primo album di Paula Abdul, era un discreto album di pop USA e getta che in America si è venduto a pacchi e ha rivelato al mondo una ragazza piuttosto carina che balla da dio e canta da schifo; Spellbound è qui per bissarne il successo, raggruppando le solite canzoncine insipide ma gradevoli.” (6). Di tono opposto la recensione di Ciao 2001, che, dopo aver affermato che la Abdul è “soprattutto cantante di qualità superiore a tante colleghe”, lodò anche il disco: “Questa nuova opera non ha brani commerciali come il precedente, ma del resto gli artisti hanno necessità di cambiare e maturare: e Spellbound appare come una delle opere più creative e intelligenti dell’anno. Forse ciò che la rende ancor più piacevole del primo album è che i brani sono stati composti in maniera tradizionale senza però perdere di vista l’avanguardia. I brani sono variati passano da atmosfere melodiche ad altre da sballo.” (4)  Seguirono lungo e trionfale tour (Under My Spell) e stella con il suo nome nella Walk Of Fame di Hollywood. Tanto successo, forse troppo anche per un carattere solido come quello di Paula, che, ironicamente proprio dopo essere stata testimonial della Diet Coke, si trovò a combattere con la bulimia, che la tenne ferma sino al 1995. Al ritorno sulle scene in quell’anno, con l’album Head Over Heels, l’incantesimo era svanito; intendiamoci, il disco vendette pur sempre tre milioni di copie, ma nessuno dei singoli che ne furono tratti (My Love Is Real, un duetto con Ofra Haza, Crazy Cool e Ain’t Never Gonna Give You Up) entrò nei top ten. Rolling Stone, la bibbia del rock americano, nel recensire il disco per mano di Elysa Gardner, commentò: “Se non farà ritorno nelle classifiche non sarà certo per mancanza di impegno. A brani diretti e filo-aerobici come Crazy Cool e Get Your Groove On fanno da contraltare tracce più ambiziose come My Love Is For Real con i suoi turbinosi sitar ed esotici controcanti (questi ultimi per gentile concessione della cantante israeliana Ofra Haza) e le lussurreggianti ballate, cariche di archi che vanno dalla cianfrusaglia (Cry For Me) alla dolcezza (Missing You). Purtroppo le canzoni di Head Over Heels semplicemente non mettono insieme quei ganci assassini che in passato avevano reso irresistibile il confezionamento di brani come Straight Up e Rush Rush, destinati al successo nonostante la voce sottile e metallica della cantante. Ain’t Never Gonna Give You Up, caratterizzata dai fiati è abbastanza ammiccante, e Under The Influence, con un simile ritmo upbeat, svolazzano piacevolmente, alimentate da un brillante piano elettrico e chitarra wah wah. Ma questo è tutto.” (7) Ciò indusse la Abdul a coltivare altri interessi, accantonando la carriera di musicista. Head Over Heels è tuttora il suo ultimo album. Fino ad oggi il silenzio come cantante è stato interrotto solo dalla pubblicazione di un singolo intitolato Dance Like There’s No Tomorrow, comparso su di una raccolta curata da Randy Jackson ed eseguito in una prestigiosa performance prima del Superbowl 2008 e poi ancora da un altro singolo (I’m Just Here For The Music) nel 2009. Ma Paula non è il tipo di donne che si ritira a vita privata. La grande popolarità di cui ancora gode negli USA dipende, più che dal suo ormai lontano passato musicale, dal ruolo, ricoperto per molti anni, di giudice compassionevole nel talent show “American Idol”. E inoltre, mentre si intrecciavano molte voci su suoi strani comportamenti ascrivibili a dipendenza da droghe, che lei ha, di volta in volta, smentito o derubricato a dipendenza da farmaci che assumeva a causa di incidenti risalenti, Paula ha anche creato una propria linea di gioielleria, ha realizzato un reality centrato sulla sua vita quotidiana durato una sola stagione (2007), ha condotto una gara tra cheerleaders su MTV e ha lanciato un sito web per aspiranti artisti. Forse il giusto epilogo per la Abdul che, prima di essere artista, è stata una donna d’affari, e per la quale, in fondo, la musica è stata solo un business (redditizio) come un altro.
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Roberto Cappelli
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Bibliografia:
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(1) Voce Paula Abdul in Wikipedia (http://en.wikipedia.org/wiki/Paula_Abdul)
(2) Talenti di Alberto Lorenzini su Tuttifrutti no. 80 del Maggio 1989;
(3) All The Right Moves di David Wild su Rolling Stone no. 566 del 30 Novembre 1989;
(4) Recensione di “Spellbound” di Aziz Mongi su Ciao 2001 no. 30 del 30 luglio 1991; (5) Invitation to dance, intervista di Ethie Ann Vare su Ciao 2001 no. 31 del 6 agosto 1991;
(6) Recensione “Spellbound” di David Nerattini su Music no. 140 del Settembre 1991; (7) Recensione di “Head Over Heels” di Elysa Gardner su Rolling Stone no. 715 del 24 agosto 1995;
(8) The Official Paula Abdul Fan Site, (http://www.paulaabdul.com/)