AALIYAH: biografia e discografia
Aaliyah Dana Haughton nasce a Bedford Stuyvesant, Brooklyn, New York, il 16 gennaio 1979; l’esotico nome con cui viene battezzata in lingua swahili significa “la migliore”. Quando lei ha cinque anni la sua famiglia si trasferisce a Detroit e nella città delle auto e della soul music Aaliyah trascorre gli anni più formativi della sua giovinezza immersa nella musica sin dall’ambiente familiare: la madre era anche lei una cantante e lo zio è Barry Hankerson, discografico e marito di Gladys Knight, celebre cantante soul negli anni sessanta. Gli esordi musicali di Aaliyah sono proprio con la zia, nel cui coro canta in una serie di concerti a Las Vegas a soli undici anni. Nel frattempo studia danza alla Detroit High School for the Fine and Performing Arts.
Non sorprende, quindi, che Aaliyah faccia il suo ingresso nel mondo dello show business quando la principale preoccupazione delle sue coetanee è come sfangare il compito di matematica, e lo faccia dal portone principale: a soli 14 anni firma il suo primo contratto con la Blackground Records di zio Hankerson, che la affida alle protettive (pure troppo, come si vedrà in seguito) mani di R. Kelly.
Per scaldarsi, Aaliyah compare in un brano di R. Kelly, Summer Bunnies, prima che quest’ultimo produca il primo album della ragazza (della bambina?), intitolato, non casualmente, Age Ain’t Nothing But A Number (l’età è soltanto un numero), uscito nel 1994.
La recensione di Alessandra Zacchino non dà troppo peso alla verde età della cantante, preferendo sottolineare come l’intervento di R. Kelly (che ha anche scritto quasi tutti i testi) sia qualcosa di più di una semplice produzione, finendo per lasciare un’impronta molto forte su tutto il disco: “L’album si apre con una introduzione quasi gospel per poi proseguire con Throw Your Hands Up, nello stile new jack/hip hop, tanto caro a R. Kelly. La title track ricorda in modo impressionante Sex Me, del suo protettore, una canzone seducente che ribadisce il fatto che l’età non è niente altro che un numero e che già a quindici anni si può essere pronti per affrontare la vita e l’amore. (…)
Deliziosa la versione di At Your Best dei fratelli Isley, nella quale traspare appieno la capacità vocale della piccola cantante.” Voto, 7 (2)
Il disco è decisamente gradevole e la verde età della sua interprete, lungi dal suscitare l’attenzione che si dedica ai fenomeni della natura, si fa presto dimenticare, tanto matura e consapevolmente sensuale è la sua voce. Nei brani si alternano ibridazioni hip hop, che in molti brani contrappuntano la voce (e la più riuscita è Throw Your Hands Up), e ballate nella più pura e sofisticata tradizione soul, e queste seconde, sfruttando appieno le doti vocali della ragazza, costituiscono alla fine le cose più notevoli del disco: dalla title-track, canzone vellutata e di gran classe, a Street Thing e Young Nation, dove Aaliyah gioca con le coriste, per finire con At Your Best, cover di un celebre pezzo degli Isley Brothers, arrangiata in stile pop anni settanta ed eseguita con perizia calligrafica da Aaliyah.
Meno convincente è il brano al quale, come singolo, arrise il massimo successo, ossia Back And Forth (presente nel cd attualmente in commercio in doppia versione) è una ipnotica ballata soul con echi hip-hop; piacevole, ma non tanto da giustificare la conquista del primo posto nelle classifiche R&B. Dal disco vennero tratti anche altri due singoli, At Your Best, che arrivo sino al secondo posto, e Age Ain’t Nothing But A Number. L’album nel suo complesso ha venduto cinque milioni di copie in tutto il mondo ed è diventato, quasi subito dopo la sua uscita, disco di platino.
Il grande successo dell’artista adolescente attira su Aaliyah molte attenzioni, alcune anche indesiderate; la macchina del gossip, infatti, si mette in moto ipotizzando che il rapporto tra il venticinquenne R. Kelly e la sua giovane discepola non sia esclusivamente professionale. Aaliyah nega vigorosamente che le voci abbiano alcun fondamento, ma, per la gioia della pruriginosa curiosità del suo pubblico, viene addirittura rintracciato a Chicago un certificato di matrimonio tra i due. Sebbene la circostanza sia rimasta sempre circondata dal mistero, la maggior parte delle biografie di Aaliyah riporta il suo matrimonio come effettivamente celebrato e successivamente annullato.
Ovvio che, non fosse altro per non alimentare le chiacchiere, per il suo secondo album Aaliyah si rivolga ad altri produttori; con mano felice pesca gli allora sconosciuti, ma destinati ad una carriera luminosa, Tim Mosley (meglio noto come Timbaland) e Missy Elliott.
Dopo la prematura morte della cantante Missy Elliott, commossa, ricorderà: “Lei ebbe grande fiducia nella nostra musica dal primo giorno, tanto da trattarci come se avessimo già venduto due milioni di dischi, quando ancora non avevamo venduto nulla. Ci ha veramente aiutato a diventare quello che siamo oggi”. (6)
E aveva visto giusto, la giovane cantante, come da subito dimostrò il grandissimo successo di One In A Million, uscito nel 1996, con ben sei singoli: If Your Girl Only Knew (no. 1), One In A Million (no. 1), Got To Give It Up di Marvin Gaye, 4 Page Letter, Hot Like Fire e The One I Gave My Heart To.
Mancinelli, su Rockstar, viene inevitabilmente risucchiato dal paragone con il primo disco, realizzato sotto le ali protettrici di R. Kelly: “Ora Aaliyah abbandona il nido e prova a fare quasi tutto da sola. Il risultato, per la verità, non cambia di molto, restano i suoi eleganti intarsi vocali, così come quelle basi dilatate e capaci di evidenziare i perfetti arrangiamenti. Quando si inoltra nei territori dell’hip hop incontra la collaborazione di Treach e di Kay Cee dei Naughty By Nature e Looking 4 A Girl Like You risulta sin dal primo ascolto vincente. E’ di successo anche la scelta di trasformare un brano degli Isley Brothers in Choosy Lover, stupisce e fa alzare il volume la successiva Go To Give It Up. Sin dalle battute iniziali è uguale a Billy Jean, di sua pallidità Michael Jackson, poi però va per la propria direttrice. Aaliyah cresce, quindi, e il secondo album, prova del nove per tutti, è un buon esempio di R&B di fine secolo.” (3)
L’album è seguito da un tour degli USA che si chiama Hot Like Fire.
Nel lungo periodo di gestazione del terzo e, purtroppo, ultimo album Aaliyah non sta certo con le mani in mano.
Nel 1997 scrive Journey To The Past per la colonna sonora del cartone animato Anastasia (nomination agli Oscar). Ripete l’esperienza nel 1998 con Are You Somebody, per il film Il Dottor Dolittle di Eddie Murphy (no. 1 negli USA e in classifica in molti altri paesi, nomination al Grammy e, per il video, agli MTV Awards).
Quella per il cinema è una passione ancestrale per Aaliyah, e la interpretazione di colonne sonore è solo un primo passo di avvicinamento: “Inutile nascondere che il singolo Are You That Somebody, ottimo esempio della mia collaborazione con il songwriter Static e Timbaland è stato il passaporto per Hollywood. Nello stesso anno abbiamo presentato alla cerimonia degli Oscar Journey To The Past” (5)
Ormai a pieno titolo accolta nello stardom, Aaliyah sfila come modella per Tommy Hilfiger e, nel 2000, avvia finalmente la carriera di attrice recitando da protagonista nel film Romeo Deve Morire, diretto da Andrzej Bartkowiak; tra l’altro scrive quattro canzoni per la colonna sonora; tra queste Try Again raggiunge il no. 1 nella classifica di Billboard, ottiene la nomination ai Grammy, vince con il video gli MTV Awards.
Quello che è notevole, specie per una ragazza così giovane e specie per questi tempi di dilettantismo innalzato a virtù, è che non si tratta di un ennesimo caso di sfruttamento estemporaneo del successo riscosso sulla scena musicale.
Determinata a perseguire come si deve il proprio sogno nel cassetto, Aaliyah prima di cimentarsi sul set si prepara per sei mesi con Harold Guskin (insegnante anche con attori del calibro di Kevin Kline, Glenn Close e Matt Dillon) su testi di Cekov, Shakespeare e Tennessee Williams.
Alla fine del 2000 è in Australia per girare il suo secondo film da protagonista, La Regina Dei Dannati, con Stuart Townsend e Vincent Perez e per questo motivo le registrazioni del suo terzo disco, intitolato semplicemente Aaliyah e pubblicato il 17 luglio del 2001, vengono spostate a Melbourne; il disco, anch’esso prodotto da Timbaland, sarà poi ultimato a New York e Los Angeles con la collaborazione di Key Beats e Budda.
Accoglienza trionfale negli USA: vende 500.000 copie in quattro settimane. Il primo singolo che ne viene tratto è We Need A Resolution.
Su Rockstar il commento è positivo: “A giudicare da We Need A Resolution lo sforzo sembra superiore a quelli del passato, ma a premiare Aaliyah saranno sicuramente le ballate soul dell’album, dove la penna di Static si avvicina allo stile cool di Stevie Wonder e del Michael Jackson di una volta. I Care 4 You e I Can Be sono due buoni motivi per convincerci che Aaliyah sia una vera diva soul, e non soltanto un attrice decente.” Voto *** (4)
Purtroppo, l’evoluzione di Aaliyah verso una maturità da moderna cantante soul nel solco della ricca tradizione di questo genere è destinata ad interrompersi bruscamente.
A fine agosto 2001 Aaliyah è alle Bahamas per girare il video di Rock The Boat. Terminate le riprese, il 25 agosto riparte su di un aereo privato da Marsh Harbour. L’aereo cade poco dopo il decollo; nel disastro perdono la vita, oltre alla giovane diva, 8 membri del suo staff e il pilota.
Incerte le cause: si parla di un sovraccarico dell’aereo, sul quale sarebbero state stivate troppe casse di materiale, ma molti dubbi circondano il pilota, Luis Morales III, che era stato assunto dalla compagnia aerea da due giorni, fresco di condanna a tre anni di reclusione per possesso di droga; la sua autopsia rivelerà che si era messo ai comandi sotto l’effetto di cocaina e alcolici.
Aaliyah aveva 22 anni. Non so se sia suggestione dovuta alla dolce bellezza che promana dai suoi ritratti fotografici, ma le numerose, commosse rievocazioni di persone che le erano state accanto e che la descrivevano come persona solare, niente affatto altezzosa, caparbiamente professionale ma capace di grande calore umano, per una volta non mi sono parse dettate dalle regole della retorica che, dopo la morte, ci vogliono tutti insostituibili e straordinariamente buoni.
Secondo le crudeli leggi che governano il commercio, la morte della cantante costituisce il miglior supporto di marketing possibile. Il suo ultimo disco schizza al primo posto della classifica R&B, ed anche i singoli e video che ne vengono tratti si stabiliscono ai piani alti: in particolare, grande successo arride a More Than A Woman e a I Care 4 U. La contabilità consuntiva fa ascendere ad 8 milioni di pezzi le vendite del terzo ed ultimo disco di Aaliyah.
Altro luogo comune in questi casi, forse a volte ipocrita, ma certamente meno cinico, consiste negli omaggi tributati dai colleghi: il gran numero di dediche che provengono soprattutto dalla scena hip hop consente di sperare che, almeno in larga parte, il cordoglio per la scomparsa della giovanissima cantante sia stato sincero e sentito. I Boyz II Men pubblicano The Aaliyah Song, ma molti altri la citano in loro canzoni, tra i quali Wyclef Jean, Missy Elliott, Mary J. Blige, Kanye West, Jay-Z, Outkast.
Puntuale anche la pubblicazione di un’antologia da parte della Blackground Records; si intitola I Care 4 U ed esce nel 2002 lanciando un singolo inedito, opportunamente intitolato Miss You, che va in testa alle classifiche R&B. Ne viene realizzato anche un video tributo, diretto da Darren Grant, con spezzoni da video di Aaliyah e la partecipazione di molti cantanti (Lil’ Kim, Missy Elliott, DMX, Queen Latifah, Quincy Jones) e attori (Rosario Dawson).
Rolling Stone, attraverso la penna di Arion Berger, coglie l’occasione per formulare alcune riflessioni conclusive su Aaliyah:
“In primo luogo, lei non era una creatura di R. Kelly, anche se è stato lui a scoprirla, ma di Timbaland.
Quale altro cantante ha saputo adattarsi ai repentini cambi di ritmo di Timbaland con uguale fluidità jazzistica? Chi altro è stato capace di espandersi in modo altrettanto lussurioso tra i suoi beats ossessivi? Secondo: la sua apparenza eterea non aveva natura angelica, era il languore di una cortigiana. Ascoltare la sua voce, dolce e forte, che si attorciglia all’ambiguità in Don’t Know What To Tell Ya”. (7)
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Roberto Cappelli
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Bibliografia:
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(1) Voce “Aaliyah” su Wikipedia, versione it.
(2) Recensione di Age Ain’t Nothing But A Number di Alessandra Zacchino su Rockstar, no. 16, Settembre 1994.
(3) Recensione di One In A Million di Roberto Mancinelli su Rockstar no. 2 del Febbraio 1997.
(4) Recensione di Aaliyah di Francesco Gazzara su Rockstar no. 9 del Settembre 2001.
(5) Soul Divas di Francesco Gazzara ed Emanuele Galloni su Rockstar no. 9 del Settembre 2001.
(6) Aaliyah: 1979-2001 di Tourè su Rolling Stone (US) no. 879 del 11 Ottobre 2001.
(7) Recensione di I Care 4 You di Arion Berger su Rolling Stone (US) no. 914 del 23 gennaio 2003.