A.C.T.H: storia e discografia
Gli A.C.T.H. si formano nel 1983 a Verona; il nome è mutuato dall’ormone adrenocorticotropo, anche conosciuto come l’ormone dello stress, sostanza che il nostro corpo produce in maggiore quantità in situazioni di tensione. La scelta del nome evidenzia la propensione energica della musica del gruppo: “Allora certamente la nostra principale fonte ispirativa era il punk, suonavamo nel circuito dei centri sociali, ci sentivamo parte integrante di una scena.” (6)
Il primo lavoro è un demo autoprodotto, esce nel 1985 e si intitola L’Italia s’è Desta? e, nonostante la modesta diffusione, ottiene giudizi lusinghieri da Maximum Rock’n’Roll, bibbia del punk-rock americano.
Prima della pubblicazione del loro secondo disco, primo a carattere professionale, alcuni loro brani vengono inserite in compilation (non solo italiane) e una loro canzone (Politica) viene adottata dall’ETA, organizzazione politico – terroristica che da decenni combatte contro il governo spagnolo per l’indipendenza della regione basca. Ciò li rende molto popolari nei paesi baschi, dove vengono anche invitati per una tournée. “Politica non la cantiamo noi, ma un ragazzo spagnolo, disertore che era venuto in Italia ed abbiamo conosciuto tramite Jumpy della Punk Attack, la nostra etichetta discografica. In origine Politica era cantata in italiano, abbiamo deciso che era meglio cantarla in spagnolo quando, durante una tournèe nei Paesi Baschi, ci siamo accorti che i ragazzi conoscevano già questa canzone perché veniva trasmessa prima dei notiziari radio dell’ETA.” (6)
Il secondo lp, Ultimo Party, che esce nel 1987, è pubblicato dalla Multimedia Attack di Bologna.
Nel paragonarlo al successivo Iguana, in un’intervista di qualche anno dopo, gli ACTH lo definiscono un album “acerbo” attribuendone parte della responsabilità alla diversa compagine che lo aveva realizzato. (5)
Nel 1988 esce un singolo intitolato Soli Si Muore (lato B Vieni Più Su), cover di un pezzo di Patrick Samson che successivamente troverà spazio su Iguana. “è un brano che Dr. Sin, che è il più vecchio di noi, conosceva già dagli anni sessanta nella versione originale di Tommy James & the Shondells, era una canzone dimenticata della quale anche il testo ci sembrava adatto” (6).
Il più convinto tentativo di sfondamento nel mercato discografico italiano viene realizzato nel 1990, con la pubblicazione di Iguana, senz’altro la loro opera migliore. Iguana sarà, di fatto, il solo album degli A.C.T.H. che godrà di una distribuzione nazionale per merito della Vox Pop che, dopo vari problemi con la Multimedia Attack che avrebbe dovuto produrlo, lo pubblica, ma ancor più della EMI, che a seguito del successo riscosso dal disco al Meeting delle Etichette Indipendenti, ne cura la diffusione.
Il titolo del disco viene spiegato così dal gruppo: “In ognuno di noi c’è qualcosa di primordiale, una parte animalesca che col passare del tempo e il controllo della ragione non riesce più ad estrinsecarsi completamente. Ai suoi albori l’uomo era più istintivo, animalesco. Così abbiamo pensato all’Iguana perché ci riporta al primordiale.” (5)
Entusiasta Federico Guglielmi su Velvet: “Dopo un primo disco di livello non eccelso i veronesi ACTH hanno partorito un lavoro fra i più originali e trascinanti degli ultimi tempi, e sicuramente il più trascinante in termini di vero rock cantato in italiano. Il suono? Caldo punk di scuola californiana, brutale e melodico assieme. (…) Le canzoni? Irresistibili, sulla linea del singolo Soli Si Muore. (…) Gli A.C.T.H. sono grandi e chi scrive presenta la sua candidatura al ruolo di loro profeta.” (2)
Lo stesso Guglielmi rincara la dose di elogi un paio di mesi dopo in un articolo nell’ambito della rubrica che Velvet dedicava alle giovani promesse; in particolare, riferendosi ad Iguana, scrive che “ha riscosso non pochi consensi per la sua indiscutibile verve compositivo-interpretativa nella quale irruenza ed energia di chiaro stampo punk incontrano liriche in italiano non prive di punti di contatto
con le tradizioni melodiche del miglior beat. Lo spirito ludico, negli A.C.T.H., è un elemento essenziale, ed il loro brioso rock’n’roll – che dal punto di vista strutturale paga pesanti tributi al torrido punk di formazioni californiane quali Social Distortion, Shattered Faith o Dickies – è costruito sull’attitudine, solo apparentemente contraddittoria, ad accostare rabbia e sense of humour in brani crudi, compatti e viscerali, incazzatissimi ma anche divertenti.” E poi, pur riconoscendo che spesso i suoni degli A.C.T.H. devono più che una semplice ispirazione ai modelli californiani, ribadisce come “il sound dei cinque veronesi sia – assieme a quelli di Ritmo Tribale e, per altri versi, di Rats e Settore Out – l’unico vero, attuale beat autoctono, volendo intendere il termine non nel suo significato sixties ma nel suo essere legato ad una situazione giovanile che da sempre è serbatoio di fermenti non solo sonori.” (4)
Non meno encomiastico Vittorio Amodio (Rockerilla) il quale, dopo aver affermato che “gli A.C.T.H. in questo nuovo trentatre continuano il loro esaltante percorso alla ricerca di un suono che sia la sintesi dell’irruenza punk e del sixties beat e mentre le tappe precedenti, il primo album Ultimo Party e il successivo singolo Soli Si Muore, possono essere considerate transitorie, con Iguana la band veronese giunge alla definizione di un power-pop che solo per intenti può essere accomunato a quello degli Husker Du o dei Soul Asylum, possedendo notevoli spunti di originalità”, formula l’impegnativa conclusione “se qualcuno dovesse chiedermi qual è la via italiana al rock non faticherei a dire A.C.T.H.” (3)
E’ vero che le recensioni dei giornali specializzati tendono spesso ad un uso eccessivo di superlativi anche rispetto a lavori che, con il passare del tempo, si rivelano meno epocali di quanto fossero stati ritenuti al momento dell’uscita, ma in questo caso i giudizi positivi sono senz’altro condivisibili. Iguana è indiscutibilmente un ottimo disco, rispetto al quale l’etichetta “punk”, con tutto il carico di rozzezza ed approssimazione musicale che in genere si associa a questo termine, suona irrimediabilmente riduttiva.
In realtà, recuperando una delle componenti che certamente hanno contribuito alla definizione del genere punk, gli A.C.T.H. sembrano piuttosto dei reduci della scena beat anni sessanta che abbiano ripreso le chitarre in mano e si ingegnino a tradurre le fresche ed ingenue atmosfere di quell’epoca in un linguaggio più congeniale agli anni ottanta. Il mix che ne scaturisce è decisamente piacevole, mutuando il meglio dei due mondi: l’energia della musica punk si combina con la melodia del beat, esaltata anche dalla tradizionale forma canzone (con tanto di ritornello ricorrente) e dalla già lodata capacità di armonizzare la lingua italiana con la musica rock in modo molto naturale e senza un eccessivo ricorso all’escamotage delle parole tronche od accentate. Al riguardo i veronesi avevano dichiarato: “Ci teniamo molto a cantare in italiano perché siamo italiani e ci rivolgiamo ad un pubblico italiano. Sospettiamo che chi canta in inglese lo faccia anche per nascondere la banalità del testo. Ci vuole molto tempo per trovare le parole da adattare alla base musicale tenendo presente l’argomento. Ci sono due chiavi interpretative dei nostri testi. La prima si rivolge all’analisi psicologica del nostro cantante, con testi che parlano di sesso, di solitudine, di religione. L’altra analizza invece il sociale più da vicino. Però non ci lasciamo mai andare a slogan o inni.” (5)
L’apertura del disco è di gran vaglia: L’Animale Che E’ In Me è un ottimo paradigma della ibridazione punk-beat; Ogni Giorno Muori è più sofisticata nella parte cantata ed in quella musicale fa pensare ad un Ligabue ante-litteram; Stayin’ Alive – cover del brano dei Bee Gees incluso nella colonna sonora di Saturday Night Fever (La Febbre Del Sabato Sera) che costituisce il più puro manifesto dell’epoca disco, e quindi quanto di più lontano possa esistere rispetto alla musica punk – è resa, con chiari intenti provocatori, in uno stile più aderente alla ortodossia punk; ritorna ad atmosfere californiane la successiva Un Istante Per Te, che si apre addirittura su chitarre non elettrificate, e percorre poi vie beat piuttosto che punk.
Sulla curiosa decisione di eseguire Stayin’ Alive in un disco destinato a fieri oppositori della musica dance, gli A.C.T.H. rivelarono di averla scelta perché “nel periodo in cui è nata c’era la rivoluzione punk e i media erano più concentrati sul boom della discoteca. Se noi fossimo esistiti in quel periodo una canzone del genere l’avremmo fatta così come l’abbiamo fatta adesso.” (5) Del resto il gruppo veronese è sempre stato molto incline alle cover; nel loro repertorio anche una versione punk di The Sounds Of Silence di Simon & Garfunkel (!); e poi Barbra Ann dei Beach Boys e Back in USSR dei Beatles.
Non tutto il resto del disco è all’altezza della eccellente apertura: ci sono altri brani notevoli, come Non Lo So, che inizia con una apertura chitarristica alla U2, per poi accelerare in un velocissimo cantato, ottimo esempio del loro virtuosismo nell’adattamento dei testi in italiano alla musica rock, o Il Linguaggio Del Corpo, che ripropone una struttura beat suonata con cadenze più underground e frequenti cambi di ritmo. Ma altre canzoni, segnatamente quelle più risalenti nel tempo, come Lo Sta Gridando, Soli Si Muore o Politica, nonostante appartengano al loro repertorio più noto, mostrano una netta, e forse eccessiva, prevalenza dell’anima punk su quella melodica, finendo per guastare quella magica alchimia che rende significativo questo disco.
Sfortunatamente, gli apprezzamenti della critica non si traducono in un successo commerciale che avrebbe cambiato la storia del gruppo; invece, dopo (e nonostante) questo felice episodio si può dire, mutuando la terminologia terroristica, che gli A.C.T.H. “tornano in clandestinità”.
Passano ben tre anni prima che un loro prodotto veda la luce, e si tratta di un semplice EP (Killer – 1993) con due soli brani: la title-track e Dammi Dammi Valium, del quale viene realizzato anche un video che passa a Videomusic e finisce al primo posto nella classifica indipendenti. Lavoro sufficiente, comunque, a consolidare la loro reputazione nel circuito punk, tanto da meritargli l’onore di suonare come gruppo spalla di alcuni big come i Ramones e i DOA. Nel 1995 esce un altro lavoro interlocutorio, Maquillage pubblicato dalla Mega Records: solo sei brani, cover di pezzi già noti.
Alla fine per vedere un loro vero disco di nuovo nei negozi bisogna aspettare il 1999, a quasi un decennio da Iguana. Si tratta di Shaker, prodotto da Mr. ZZZ e pubblicato dalla Mac Guffin. Nel loro sito sostengono che il titolo “ben identifica quella miscela di suoni che va dal punk melodico di estrazione californiana sino al power pop, il tutto condito con una fortissima caratterizzazione beat”. (1) Non cambia l’ispirazione musicale, ma cambia il nome: l’acronimo puntato viene sviluppato in Acitiacca.
L’album viene recensito da Federico Guglielmi per il Mucchio Selvaggio, il quale non rinnega gli antichi apprezzamenti: “Nelle sue dodici canzoni la potenza ed il calore del miglior punk’n’roll californiano (alla Social Distortion, per intenderci) si uniscono all’effervescenza melodica beat, generando ibridi sonori immediatamente accattivanti – anche e soprattutto per merito delle briose combinazioni di voce solista e cori – oltre che compatti e incisivi nelle strutture musicali.” (7)
Dopo di allora più nulla. Al loro nome si associa quella malinconica sensazione che si prova dinanzi alle promesse non interamente mantenute, alla classe non completamente premiata dal successo (avete presente Evaristo Beccalossi?).
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Roberto Cappelli
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Bibliografia:
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(1) http://xoomer.virgilio.it/adnid/acth.htm
(2) Recensione di Iguana di Federico Guglielmi, su Velvet no. 22 del luglio 1990.
(3) Recensione di Iguana di Vittorio Amodio, su Rockerilla no. 119 del luglio 1990.
(4) A.C.T.H. di Federico Guglielmi, su Velvet no. 24 del settembre 1990.
(5) A.C.T.H., intervista di Stefania Cubello su Ciao 2001 no. 48 del 28 novembre 1990.
(6) Il risveglio dell’iguana, intervista di Gino Tozzini su Rockerilla no. 127 del marzo 1991.
(7) Recensione di Shaker di Federico Guglielmi su il Mucchio Selvaggio no. 348 del 20 aprile