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A FLOCK OF SEAGULLS: storia e discografia

Gli A Flock Of Seagulls si formano a Liverpool nel 1979 per impulso di una coppia di fratelli, Mike e Ali Score.  La derivazione del nome (uno stormo di gabbiani) non è ben accertata: c’è chi dice che sia conseguenza della suggestione esercitata su Mike Score da un libro oggi poco frequentato, ma lettura di culto negli anni settanta, “Il Gabbiano Jonathan Livingstone” di Richard Bach, e chi invece sostiene che derivi da un verso di una canzone degli Stranglers. Probabilmente esasperato dall’ennesima richiesta di svelare l’arcano, Mike Score non aiuta a chiarire il mistero: “Abbiamo scelto il nome perché non piaceva a nessuno, perché una sera abbiamo visto i gabbiani, perché abbiamo letto il libro, perché abbiamo sentito il disco degli Stranglers. In fondo è solo un nome; e allora gli Scritti Politti? Il loro nome è peggio del nostro!” (1)

Un dato biografico che deve essere messo in evidenza è che sia il leader del gruppo, Mike Score, che il bassista che da subito si unì ai due fratelli, Frank Maudsley, nella vita esercitavano la nobile arte del parrucchiere.  Potreste pensare che si tratti di una circostanza marginale e da confinare nel recinto del gossip, ma così non è, perché l’acconciatura degli AFOS, ed in particolare l’inverosimile ciuffo sporgente di Mike Score, è di gran lunga il lascito più duraturo del gruppo, fonte di mille ironie (i Fixx, dopo essere stati in tournée negli USA con loro, rilasciarono un solo lapidario commento: “lo stile è tutto nei loro capelli: stronzate!”) e decine di parodie in film e serie televisive dell’epoca, ma indubbiamente una, per quanto grottesca, griffe che caratterizza immediatamente ed in modo inconfondibile i Seagulls.

Il gruppo, come dicevamo, viveva a Liverpool, una delle scene più vivaci nel mondo musicale britannico degli anni ’80, ma i nostri non riescono ad inserirsi nel giro che conta, come ricorderà con accenti quasi addolorati Frank Maudsley qualche anno dopo: “Noi c’eravamo nel 1978/79 quando Echo & the Bunnymen, Teardropes Explodes o Orchestral Manouvres in The Dark impazzavano. Ma non gli piacevamo. Non facevamo parte del clan.” (1)

Le prime prove discografiche della formazione vedono la luce all’alba degli anni ottanta e, secondo la voga di allora, sono tutti singoli.  Il primo si chiama “Talking” ed esce per la Cocteau Label di Bill Nelson.  Con il secondo 45 giri, intitolato “Telecommunication” ed uscito per la Jive Records, gli AFOS iniziano a ricevere (in modo piuttosto sorprendente, visto che il disco non viene pubblicato oltreoceano), una certa attenzione dagli USA, dove il brano si fa conoscere nell’ancora ristretto mondo dell’import.

Segue, sempre per la Jive, “Modern Love Is Automatic”, ma è con il successivo “I Ran” che la carriera degli AFOS ha una svolta.  Il video del brano (visibile su YouTube) si guadagna l’heavy rotation su MTV e la sua melodia trascinante e perfetta per le radio FM a stelle e strisce, ancorché non particolarmente originale, diventa uno dei tormentoni dell’estate del 1982 negli USA, sancendo definitivamente il loro lancio nel firmamento americano.  La metafora spaziale, nella fattispecie, non è casuale: il loro look è impregnato di suggestioni fantascientifiche ed anche i loro testi ricorrono spesso a simili ambientazioni. Per ulteriormente enfatizzare tale caratterizzazione gli AFOS fecero sapere che Frank Maudsley era membro di una società di ricerche sugli UFO e che gli altri componenti del gruppo avevano fede nelle proprietà divine degli extraterrestri (6).

Dopo un singolo dal titolo paradigmatico (“Space Age Love Song”) è la volta di “Wishing (If I Had A Photograph Of You)” (anche il video di questa canzone, ambientato su di una astronave, è disponibile su You Tube), ottima canzone pop, con un riff azzeccato, una melodia accattivante e nessuna ambizione di impegnare l’ascoltatore.

La copiosa produzione a 45 giri degli AFOS, che in larga parte andrà a comporre il primo long playing del gruppo, inaugurando quella che sarà una costante della carriera dei Seagulls, riscuote molto più consenso presso il pubblico che presso la critica; da noi, per esempio, Miss Alex su Rockstar scrive in proposito: “Tutti uguali, tutte brutte copie dei Duran Duran in trip spaziale, stesse chitarre incredibilmente anni settanta e synth usato con molta immaginazione.” (4)

Alla fine del 1982 ritornano in UK per dei concerti, uno dei quali viene recensito con perplessità, ma anche con malcelata simpatia, da Melody Maker: “E’ stato tutto molto convincente. C’è una presentazione formale: quattro nomi e parole con la giusta carica emotiva (‘un gruppo che è andato negli USA e ha fatto piuttosto bene, e ora sono tornati a casa’), nuvole di ghiaccio secco, fiammate di luci rosse, nessun gabbiano in vista, per ora, e ti trovi ad applaudire insieme a tutti gli altri senza che ancora sia stata suonata una sola nota. Ma in fondo la musica non pesa più della metà del tutto, perchè da quel punto di vista gli A Flock Of Seagulls non hanno nulla che non possa essere offerto da innumerevoli altri gruppi. Quello che hanno di speciale è la presentazione. (...) Lo show è composto senza smagliature. Il gruppo scorazza attraverso una serie di brevi e veloci canzoni per la prima parte del set, ma non dimentica l’esigenza di offrire qualche leggera variazione di passo: una canzone più lenta, un assolo di batteria, un intermezzo di chitarra, uno strumentale, alcuni pezzi più lunghi, un esercizio ipnotico e ad alto potenziale energetico che culmina in ulteriore ghiaccio secco. (...) Ho detto che è stato tutto molto convincente. Ciò nonostante, dopo il concerto non ero in grado di ricordare neanche una delle canzoni.” (10)

Il primo disco “A Flock Of Seagulls” esce nel 1982: “Una storia tutto sommato poco originale – scriverà due anni dopo Marco Morganti (7) – Si assiste ad una grande esibizione tecnologica, musicisti trasformati in freddi ingegneri del suono, impegnati a tirare fuori dai loro sintetizzatori suoni eterei ed impersonali. I Flock of Seagulls evitano peraltro di cadere negli eccessi di altre band, conservando alla loro musica quel tanto di feeling necessario per non sconfinare nello sperimentalismo d’avanguardia. La melodia fa capolino nelle loro interpretazioni, il cuore affianca il cervello nella stesura dei pezzi, il tutto per un prodotto gradevole e non impegnativo”.

Il disco è un concept album, che narra di un’invasione aliena della terra, ma in realtà invade “solo” gli Stati Uniti, dove vende 750mila copie, mentre viene snobbato in patria.  Per dare un’idea del clima che circondava gli AFOS in Inghilterra, basti citare la avvertenza che Paul Simper si sentì in dovere di premettere ad una sua intervista alla band per Melody Maker nel dicembre del 1982: “Per la cronaca, io penso che la musica dei Seagulls sia oltremodo noiosa e poco attraente”… (1)  Un’altra fondamentale testata del panorama britannico, il New Musical Express, scrisse che loro avevano fondamentalmente solo due idee: una trita canzonetta pop ed un pomposo suono di cornamuse sintetizzate; così che non aveva torto il buon Paul Reynolds nel rivendicare, in una risposta a Paul Simper nella già citata intervista, che “La stampa non ha mai scritto nulla di positivo su di noi, quindi non ha certo contribuito a farci arrivare dove siamo arrivati” (1)

Ed è anche ovvio che la reazione degli AFOS fosse quella di trincerarsi orgogliosamente dietro il successo americano, come traspare dalle parole di Ali Score “Ce l’abbiamo fatta in America perché abbiamo lavorato come pazzi, facendo un concerto a sera, senza fermarci mai. Abbiamo fatto 140 date. Gli abbiamo dato quello che volevano: dei buoni concerti. E poi noi amiamo l’America. Se il posto ti piace, tu piaci a quelli del posto.” (1), anche se Mike Score ci teneva a sottolineare che la conquista dell’America non era stata una cosa programmata: “Avevamo pubblicato un singolo, Telecommunication, e rimase 18 settimane in testa alla classifica dance negli USA. A quel punto la cosa più ovvia da fare era andare a passarci qualche settimana.” (1)

La notte di capodanno 1983 suonano al Palladium di New York.  Intanto preparano il materiale per il disco successivo, che registrano in Germania, agli studi Conny Plank.  Su Melody Maker Helen Fitgerald si chiedeva “quale diabolica anomalia del fato poteva far sì che i Flock Of Seagulls suonassero a Daytona Beach in Florida dinanzi a 15mila selvaggiamente estatici spettatori e poi, tornando a casa, dovessero fronteggiare un auditorium desolato e ovviamente mezzo vuoto a Newcastle” (3)

Nella primavera del 1983 esce il loro secondo disco “Listen”, prodotto, come il primo, da Mike Howlett (ex componente dei Gong, già produttore di Martha & the Muffins e degli Orchestal Manouvres In The Dark). Per Melody Maker lo recensisce Paul Colbert, che apre con una domanda sarcastica: “Cosa c’è sotto la pettinatura?” e dopo aver dedicato un buon paragrafo ad irridere il leggendario ciuffo di  Mike Score (“Mari Wilson deve avere quest’aspetto sotto la doccia”), prevedibilmente stronca il disco:

   “Non è che i Gulls siano privi di idee. Sono un gruppo spaventato dalle loro stesse costruzioni, tanto che preferiscono ripetere più e più volte una frase musicale che sarebbe altrimenti attraente, piuttosto che fare qualcosa di imprevisto e rischiare che tutto il pre-fabbricato crolli a terra. Ma bisogna rompere le uova, o la frittata uscirà un po’ misera.  In conseguenza, tutte le canzoni risultano prevedibili sin dalle prime battute, realizzate con disciplina invece che con ossessione e slavate da qualsiasi dinamismo o avventura. Listen è modellato, pre-formato e disperatamente privo d’interesse.” (2)

La stampa italiana per questa volta è meno prevenuta riguardo ai Seagulls; Manuel Insolera, sul Ciao 2001, recensendo Listen scrive: “La caratteristica più appariscente di questa band electro-pop orientata alla dance è che tutti – dico tutti – i brani su LP sono concepiti in modo da poter diventare dei singoli potenziali. Questa caratteristica si ripete anche in questo LP, con la differenza che il sound è meno “quasi-integralmente” elettronico, più equilibrato tra pulsioni elettriche e pulsioni elettroniche, e anche leggermente meno uniforme. Se i Depeche Mode sono gli alfieri di un vero e proprio easy-listening elettronico, se gli Yazoo combinano tale easy-listening elettronico con una soul music intelligentemente biodegradata, gli A Flock of Seagulls, pur restando altrettanto orientati alla dance, sono meno leggeri, forse anche meno fantasiosi, ma indubbiamente più compattamente rock’n’roll, ovviamente nel senso futuribile di massa.” (5)

Come spesso accade, i Seagulls non riuscivano ad accettarsi per quello che erano: una pop band con un certo talento melodico che aveva trovato anche una chiave distintiva in termini di look.  Il mancato riconoscimento in patria di un prestigio che sentivano a portata di mano negli USA era per loro fonte di un complesso di inferiorità che chiaramente traspare da varie loro dichiarazioni che sembrano quasi scusarsi per il poco fatto sino ad allora e promettere una pronta redenzione; diceva Mike Score: “Forse tra cinque anni incideremo un grande ed emozionante classico, un Sgt. Pepper. In fondo alcune delle prime canzoni dei Beatles non brillavano esattamente per grandi significati, penso a I Want To Hold Your Hand o Love Me Do. Devi rilassarti e prendere il tuo passo prima di scioglierti. Siamo gradualmente arrivati al nostro stile. Quando inizi a scrivere canzoni, non sei ben sicuro di quello che dovresti fare: ci sono così tante opzioni, e questo è il motivo per cui il primo disco era un po’ nevrotico. Non avevamo veramente un sentimento unico, ora abbiamo acquisito una maggiore familiarità l’uno con l’altro e Listen ne è lo specchio.” (3)

Dopo l’uscita del disco iniziano un tour mondiale che dura nove mesi e li porta in Giappone, Australia, Sud America.  Anche per questo, prima di vedere nei negozi la loro terza prova, The Story Of A Young Heart, bisognerà aspettare qualcosa di più dei dodici mesi all’epoca canonici, alla scadenza dei quali viene fatto uscire un promettente singolo, chiamato “The More You Live The More You Love”, ennesima conferma del loro sicuro intuito per le melodie accattivanti.  Il long playing segue nell’autunno del 1984 e viene nuovamente subissato di critiche, questa volta anche in Italia.

Marco Morganti sul Ciao 2001: “Nove brani eseguiti senza particolare enfasi, dosato connubio tra tastiere e chitarre, qualcuno saprebbe riconoscerli tra gli altri mille della produzione inglese odierna? Solito uso dell’elettronica, giri di chitarra abbastanza scontati, base ritmica affatto trascinante, prestazione vocale del buon Mike Score assolutamente impersonale: queste, in breve, le maggiori pecche della band, e non sono certo di scarsa rilevanza.” (7)

Sostanzialmente allineato il giudizio della collega Maria Laura Giulietti in sede di recensione del disco ancora per il Ciao 2001: “Poca sostanza tra i solchi di una prova tiepidina. (…) Questo album ha davvero pochi momenti felici: The Story Of A Young Heart, canzone di apertura e che dà titolo all’album, è monotona e rabberciata, The More You Live The More You Love, già pubblicata come singolo nella passata primavera, non supera la sufficienza; invece c’è un cambiamento di atmosfera piuttosto felice in Remember David, moderna e con un uso sofisticato delle tastiere, e in Over My Head, anche questa a seguire tendenze più coinvolgenti e spinte.” (8)

Al coro si unisce Stefano Bonagura su Rockstar: “A Flock Of Seagulls, ovvero la mediocrità avvincente. (…) Non c’è niente di nuovo ed utile, tranne la produzione di Steve Lovell: molta melodia (banale), ritmica in primo piano (indispensabile), qualche suono azzeccato secondo la ricetta elettronica, voci accurate e impersonali, sintetizzatori e chitarre elettriche piacevoli, una mediocrità esaltante, un esercizio di indiscutibile abilità professionale. E’ tutto.” (9)

E’ indubbio che non si possa e non si debba parlare di capolavoro a proposito di questa, come delle altre loro prove. Però, onestamente, l’album si ascolta volentieri, gli eccessi di cattivo gusto sono quasi sempre evitati e i ritornelli delle canzoni si fissano in testa rapidamente, col risultato che dopo qualche ascolto ci si sorprende a canticchiarli attraversando la strada o facendo la doccia (“Never Again (The Dancer)” ne è un ottimo esempio). 

Ormai persa ogni speranza di conquistare la stima della propria madre patria (e perso per strada anche Paul Reynolds, sostituito da Gary Steadnin), la band si trasferisce a Philadelphia; tuttavia, il clima certamente più benevolo che li circonda in terra americana non giova alla armonia del gruppo, anzi, a conferma del vecchio adagio che vuole i fratelli invariabilmente abbinati ai coltelli, i rapporti tra i fratelli Score si complicano al punto che il quarto disco, Dream Come True (1986), viene registrato da Mike Score quasi da solo (su nove canzoni Ali suona solo in tre, Frank in quattro).

Di fatto, dopo la pubblicazione del disco, la band si scioglie anche ufficialmente. Verrà ricostituita nel 1989 dal solo Mike Score (con una girandola di musicisti ad affiancarlo): unico documento di questa versione apocrifa degli AFOS è l’anonimo The Light At The End Of The World pubblicato nel 1995.

 

Da allora è stato pagato qualche tributo alla nostalgia attraverso ricostituzioni della formazione originale, una prima volta per una trasmissione televisiva nel 2003, poi per qualche concerto negli USA nel 2004.

Non avranno lasciato un segno indelebile nella storia della musica rock, ma se vi imbatteste in qualche loro singolo trovategli un posticino nel vostro i-Pod: in fondo la musica deve anche divertire, no?

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ROBERTO CAPPELLI

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BIBLIOGRAFIA:

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(1) Wings over America, intervista di Paul Simper su Melody Maker, 18 dicembre 1982

(2) Recensione di “Listen”, di Paul Colbert su Melody Maker, 30 aprile 1983

(3) Transfer of affection, intervista di Helen Fitgerald su Melody Maker, 30 aprile 1983.

(4) England ’83, di Miss Alex su Rockstar, no. 31, Aprile 1983.

(5) Recensione di “Listen”, di Manuel Insolera su Ciao 2001 no. 27 del 10 luglio 1983.

(6) Migrazioni musicali, di Francesco Adinolfi, su Ciao 2001, no. 32 del 21 agosto 1983.

(7) I gabbiani di Liverpool, di Marco Morganti, su Ciao 2001, no. 42 del 21 ottobre 1984.

(8) Recensione di “The Story Of A Young Heart”, di Maria Laura G. Giulietti su Ciao 2001, no. 43 del 28 ottobre 1984.

(9) Recensione di “The Story Of A Young Heart”, di Stefano Bonagura su Rockstar, no. 50, novembre 1984. 

(10) A Flock of haircuts, di Penny Kiley su Melody Maker, 27 novembre 1982.

 

SITI INTERNET

(11) Wikipedia, voce A Flock Of Seagulls

(12) VH1, voce A Flock Of Seagulls

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